Il caso di Takahiro Shiraishi: il “killer di Twitter”
Takahiro Shiraishi, noto come il “killer di Twitter”, è stato giustiziato per impiccagione il 27 giugno 2025 nel carcere di Tokyo. La sua vicenda ha scosso profondamente l’opinione pubblica giapponese e internazionale, non solo per l’atrocità dei crimini commessi, ma anche per le implicazioni sociali e giuridiche che ha sollevato.
Nel 2017, Shiraishi adescò online nove persone — otto donne e un uomo — che avevano espresso pensieri suicidi sui social media. Fingendo di volerle aiutare o addirittura accompagnarle nel gesto estremo, le attirava nel suo appartamento a Zama, dove le drogava, violentava, uccideva e smembrava. I resti furono ritrovati in contenitori refrigerati e scatole, in uno scenario da film dell’orrore.
Durante il processo, Shiraishi si dichiarò colpevole, affermando di aver agito per “soddisfazione sessuale” e “motivi economici”. La difesa tentò di sostenere che le vittime avessero acconsentito alla loro morte, ma la Corte respinse l’argomentazione, condannandolo a morte nel 2020. La sentenza divenne definitiva nel 2021, dopo che lo stesso Shiraishi ritirò il ricorso.
Il caso di Shiraishi ha riacceso il dibattito sulla pena di morte in Giappone, un Paese che mantiene ancora questo strumento giudiziario, ma con modalità particolarmente rigide e riservate.
I detenuti non vengono informati della data dell’esecuzione fino alla mattina stessa. Anche le famiglie e gli avvocati lo scoprono solo dopo l’avvenuta impiccagione.
L’impiccagione è l’unico metodo di esecuzione previsto. Viene eseguita in tre camere separate, con un meccanismo a bottoni premuti simultaneamente da tre funzionari, nessuno dei quali sa quale ha attivato la trappola.
Nonostante le critiche internazionali, la maggioranza dei giapponesi continua a sostenere la pena capitale, anche se cresce la richiesta di maggiore trasparenza. Attualmente ci sono oltre 100 persone nel braccio della morte in Giappone, molte delle quali attendono da anni l’esecuzione.
Il caso Shiraishi ha sollevato interrogativi profondi sulla vulnerabilità degli utenti online, sulla manipolazione psicologica e sulla responsabilità delle piattaforme social. Ma ha anche messo in luce le contraddizioni di un sistema giudiziario che, pur moderno in molti aspetti, conserva pratiche antiche e opache.
Il padre di una delle vittime ha dichiarato che avrebbe preferito vedere Shiraishi “trascorrere la vita a riflettere sui crimini commessi, piuttosto che perderla semplicemente con la pena di morte”. Una riflessione che riecheggia in una società sempre più divisa tra giustizia e vendetta.
Shiraishi "serial killer" o " angelo della morte?" La risposta mi sembra evidente.
Attualmente, 53 Paesi nel mondo applicano ancora la pena di morte, mentre oltre 110 l’hanno completamente abolita.
La pena di morte nel mondo:
Cina: il numero esatto è segreto, ma si stima che esegua migliaia di condanne ogni anno.
Iran: nel 2023 ha registrato almeno 853 esecuzioni, molte per reati legati alla droga.
Arabia Saudita: applica la pena anche per reati come l’adulterio o l’apostasia.
Stati Uniti: ancora attiva in diversi stati, con metodi come l’iniezione letale e, in alcuni casi, la sedia elettrica.
Metodi di esecuzione
Iniezione letale: il più comune negli USA, ma spesso oggetto di controversie per gli effetti collaterali.
Impiccagione: usata in Giappone e Iran.
Fucilazione: ancora praticata in paesi come la Corea del Nord e la Somalia.
Decapitazione: metodo ufficiale in Arabia Saudita.
Africa e Asia sono le regioni con il maggior numero di esecuzioni.
Europa è quasi completamente abolizionista, con l’eccezione della Bielorussia.
America Latina ha abolito la pena capitale in quasi tutti i Paesi.
📈 Un dato inquietante
Secondo Amnesty International, il 2023 ha visto il numero più alto di esecuzioni da quasi un decennio, con un aumento del 30% rispetto all’anno precedente.
E voi siete favorevoli o contrari alla pena di morte?
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